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Dalle “Acque del Cristo” al Pomodoro Regina

Torre Canne, frazione di Fasano, è come un piccolo mondo antico dove resistono le tradizioni.

Torre Canne è una frazione del comune di Fasano, a circa 8 km dal capoluogo comunale. Pensate che qui, vivono appena 400 abitanti, ma nel periodo estivo-autunnale ne ospita quasi 10 mila!

Il toponimo “Torre Canne” deriva da un’antica torre di guardia posta a protezione delle coste dalle scorrerie dei Saraceni, sconfitti dai fasanesi nel 1678, e che ne rievocano l’impresa con La Scamiciata. La Torre è stata costruita nel XVI secolo e abbattuta dopo l’ultimo conflitto mondiale. Fu detta delle canne poiché situata nei pressi di un ampio canneto in parte ancora oggi esistente ed era alimentato dai numerosi torrenti che dalla collina sfociavano nella zona di Torre Canne (oggi ne rimangono due visibili, il Fiume Grande e il Fiume Piccolo). Proprio queste acque sorgive erano considerate curative tanto da essere denominate “Acque di Cristo” per la loro azione terapeutica. Torre Canne è conosciuta, infatti, per le terme. L’uso delle acque di Torre Canne risale alla metà dell’800, con uno sfruttamento più intensivo a partire dal dopoguerra.

Dagli anni ’80, la frazione è si è ingrandita con la costruzione di case da affittare ai bagnanti.

Il Faro di Torre Canne.

Il Faro, simbolo di Torre Canne, frazione del territorio di Fasano, fu realizzato a partire dal 1927. La torre ottagonale, alta 35 metri sul livello del mare e 31 sul piano di campagna, è larga 7 metri alla base e 4 alla sommità. Ai piedi della torre vi è la casa dei fuochisti. Il sito è stato recentemente riqualificato per ospitare un ufficio di informazioni turistiche di prossima apertura.

Il Pomodoro Regina e le ramasole.

Il Pomodoro Regina è il nome di una varietà locale di pomodoro da serbo, coltivata tra Fasano e Ostuni, nei terreni salmastri litoranei del Parco delle Dune Costiere, da Torre Canne a Torre San Leonardo fino ad Egnazia, lungo l’antica via Traiana. È un presidio Slow Food.

Viene raccolto a partire dal mese di luglio: una parte viene venduto fresco e una parte viene riposto in cassette dove subisce un appassimento fino all’inizio di settembre, quando il cotone è pronto per la filatura. A questo punto i pomodorini, legati per il peduncolo con il filo di cotone a formare le ramasole, sono appesi alle volte delle masserie o delle case e vengono conservati fino alla fine del mese di aprile dell’anno successivo. Un tempo il possesso di molte ramasole era un’espressione di prestigio sociale e di ricchezza familiare: le ragazze in età da marito che ne possedevano molte erano ambite. Il nome di questo pomodoro si ispira alle caratteristiche del peduncolo, che crescendo assume la forma di una coroncina. Le bacche sono piccole e tondeggianti. La buccia, piuttosto spessa – una caratteristica dovuta appunto all’acqua salmastra con la quale vengono irrigati gli orti vicini al mare – aumenta la conservabilità di questa varietà e la resistenza ai parassiti.

Più a nord possiamo ritrovare altre colture su terreni salmastri, come la carota di San Vito, località di Polignano. Anche questa specialità, ricca di potenti antiossidanti, è entrata da tempo nell’elenco dei cibi del presidio Slow Food.